LE NUOVE EPIDEMIE VIRALI DEL XXI SECOLO


ANNO 2002, regione di Guangdong-Sud della Cina. Si diffonde in molte persone una nuova infezione, caratterizzata da broncopolmonite grave, con insufficienza respiratoria e mortalità elevata. Si tratta di una nuova epidemia. Si tratta di un nuovo virus, mai visto: SARS-Coronavirus (SARS-Cov). Non è la prima volta, però, che in Cina si verificano casi mortali per contagi di virus. Negli anni successivi, anche in altre parti del mondo si verificheranno infezioni simili. Nell’aprile 2012 viene individuata una nuova malattia respiratoria, la Sindrome Respiratoria Medio-Orientale, definita MERS. Anche questa infezione è causata da un coronavirus, MERS-Cov (Middle East Respiratory Syndrome). Qual è l’origine di questi virus e perché si tratta sempre di coronavirus?
Ormai tutti sappiamo cos’è la SARS. Si tratta di una sindrome respiratoria acuta e grave (Severe Acute Respiratory Syndrome), caratterizzata prevalentemente da polmonite atipica e descritta, per la prima volta, nella seconda metà del 2002. Apparsa nella regione di Guangdong, si diffuse velocemente nel febbraio-marzo 2003 in altri stati dell’Estremo Oriente ed anche in Canada. Nella diffusione del virus oltre i confini della Cina, fu importante un episodio, avvenuto in un hotel di Hong Kong. Molte persone, che alloggiavano nello stesso piano dell’hotel, furono infettate da un individuo, proveniente dalla Cina. A loro volta, alcuni di questi soggetti infettati raggiunsero destinazioni diverse, durante il periodo di incubazione della malattia, creando nuovi focolai secondari dell’epidemia. Due coniugi si diressero in Canada, diffondendo in questo stato l’infezione. Tanti altri in Europa e solo un caso in Italia; si trattava di un paziente infettato in Vietnam, che aveva viaggiato fino in Italia durante l’incubazione del virus e ricoverato d’urgenza a Milano, al ritorno. Questo ceppo virale, il secondo ceppo europeo, fu isolato dai colleghi di virologia dell’Istituto Scientifico San Raffaele a Milano e fu denominato SARS-Cov, stipite hSR1. Tuttavia, le epidemie progredirono primariamente in Cina e solo lì, all’epoca, fu necessario prendere tutte le misure restrittive e di sanità pubblica per limitare la diffusione di questo nuovo virus, eliminando qualsiasi rischio di pandemia. La pandemia venne scongiurata, anche, da un’infettività del virus medio-bassa; questo contribuì a limitare di molto l’infezione. Si infettarono, solo, i contatti più stretti e diretti, avuti con soggetti infetti. Le infezioni si limitarono, per lo più, agli operatori sanitari. Ero molto giovane, ma ricordo ancora le notizie sulla morte dell’infettivologo italiano, dottor Carlo Urbani, responsabile dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in Vietnam e nelle regioni limitrofe.
Da dove veniva questo virus? I ricercatori si domandarono, all’epoca, sull’origine del virus. Si trattava di un virus preesistente, diffusosi grazie a nuove vie di trasmissione? Si trattava di un nuovo virus, originatosi da mutazioni casuali, in grado di infettare l’uomo e con un potenziale patogeno importante? Si trattava di un virus animale che, all’improvviso, aveva acquisito la capacità di infettare anche l’uomo? Si trattava del cosiddetto salto di specie?
La ricerca ha dimostrato che si tratta di un coronavirus ad RNA, con un’organizzazione molto simile a quella di altri del genere coronavirus-famiglia Coronaviridae. Condivide con essi la medesima modalità replicativa e la stessa suscettibilità a sostanze chimico-fisiche. Non appartiene, però, a nessuno dei tre gruppi conosciuti di coronavirus, da cui si differenzia geneticamente e biologicamente. Soprattutto e, sorprendentemente, questo virus ha un più ampio spettro d’ospite (cioè può infettare più specie), resiste ad alcuni farmaci come l’interferon-α, non infetta solo le vie respiratorie, ma anche altri organi ed apparati (rene e apparato enterico). Si tratta di un coronavirus animale mutato? A rafforzare tale ipotesi vi è l’evidenza che, tra il coronavirus animale e quello umano, le differenze genetiche sono limitate ad una piccola delezione (un tipo di mutazione) di una piccola sequenza della proteina ORF. Col senno di poi, molte evidenze epidemiologiche hanno portato i ricercatori nella stessa direzione. Infatti, gli animali potenzialmente infettabili dal virus sono lo zibetto (Paguma larvata) ed altri animali selvatici e di allevamento, comunemente usati nella tradizione culinaria cinese. Molti di questi animali sono venduti nei mercati, macellati all’istante, per essere subito consumati. All’epoca delle infezioni, i primi ad essersi infettati furono, proprio, gli addetti alla macellazione ed alla ristorazione. Spesso, anche gli addetti che non mostravano sintomi presentavano gli anticorpi sierici anti-Sars-Cov. Altri studi di epidemiologia molecolare hanno suggerito che gli animali suindicati, che avevano infettato l’uomo, avevano a loro volta ricevuto il medesimo virus da un particolare tipo di pipistrello, ospite naturale di un virus molto simile a quello isolato nell’uomo. Si trattava di un “salto di specie”, fenomeno assai raro per molti agenti virali, ma molto facile per i virus appartenenti al genere coronavirus. Ciò che sorprende di questo virus è il suo potenziale patogeno, il suo essere fortemente citopatico, il suo più ampio spettro d’azione rispetto alla maggior parte dei coronavirus e le sue notevoli differenze biologiche, rispetto a virus del medesimo genere. Caratteristiche che rendono tale virus capace di “entrare” attraverso le vie respiratorie, per poi creare un’infezione sistemica. Attualmente, SARS-Cov non è più un problema sanitario. Il suo tentativo di compiere un salto di specie completo e definitivo è fallito, grazie all’opera di contenimento ed alle caratteristiche del virus. Per contagiare un uomo, infatti, SARS-Cov ha bisogno di un’elevatissima carica virale. E’ probabile, dunque, che SARV-Cov, così come è stato studiato, non lo rivedremo più. Non è il primo caso, però, in cui un virus del genere coronavirus tenti di compiere quello che, ad oggi, viene definito “spillover”-salto di specie. Ricordo che nel 1978 vi fu un’infezione suina, che provocava e tutt’ora provoca diarrea con mortalità pari a circa il 50%. Questo virus, chiamato PEDV (Porcine Epidemic Diarrhea Virus) è attualmente il maggiore patogeno virale del tratto intestinale dei suini da allevamento. Questo virus ha una forte omologia con il coronavirus respiratorio umano (già da me citato in un precedente articolo), chiamato 229E. Ad oggi, si ritiene probabile che questo virus suino derivi dal coronavirus 229E umano, che sia cioè un virus umano adattatosi ai suini. Anche in questo caso si trattava di un salto di specie, dall’uomo al maiale. Negli anni successivi fu individuato un nuovo coronavirus respiratorio, sempre nei suini, PR-Cov, derivante da un virus enterico dei suini, che per mutazione (delezione di un frammento del gene S), aveva acquisito la capacità di infettare anche le vie respiratorie della medesima specie. Una mutazione fu sufficiente per modificare lo spettro e la specificità cellulare del virus. Ricordo, inoltre, il MERS-Cov, un coronavirus apparso per la prima volta nell’aprile del 2012. Un virus, quest’ultimo, associato a gravi patologie respiratorie, che si è esteso, soprattutto, nei Paesi del Medio-Oriente. Pur con qualche dubbio, l’ipotesi più verosimile sulla modalità di trasmissione di MERS-Cov è che i pipistrelli siano stati il serbatoio d’infezione, mediata poi dai dromedari. Si tratta di un’iniziale trasmissione zoonotica, seguita da trasmissione interumana. Riporto queste notizie per far capire che alla base dei meccanismi evolutivi dei coronavirus vi è la loro estrema variabilità, caratteristica di tutti i virus ad RNA, ma particolarmente spiccata nei coronavirus. Una mutazione in questi virus (in genere per delezione o inserzione) può non alterare la capacità replicativa di questi virus (rendendoli ancora infettivi), ma può conferire al virus la capacità di sperimentare infezioni in nuove cellule, con nuove vie di trasmissione, in nuovi ospiti, in nuove specie.
Per questi motivi è più probabile che da un virus ad RNA possa emergere un nuovo patogeno, sconosciuto alla specie umana e sconosciuto, soprattutto, al nostro sistema immunitario. Non dovrebbe, dunque, sorprendere la possibilità che ciclicamente possano verificarsi nuove epidemie o nuove pandemie, a causa di virus del genere coronavirus.
Dott.ssa Cristina Mucci
Biologo Nutrizionista
Specialista in Biologia Molecolare e Nutrizione Umana
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