C’E’ UN NESSO TRA CAMBIAMENTO CLIMATICO E I NUOVI MICRORGANISMI PANDEMICI?


ANNO 2019. La Siberia brucia, evento drammatico, che manda in fiamme 4 milioni di ettari. Quattro milioni di ettari della Grande Foresta del Nord. Il bilancio è drammatico ed esasperato dalla presenza di tanti altri incendi di portata mastodontica nell’estate scorsa. Ad agosto, solo in Amazzonia, il numero di incendi è stato impressionante; sono stati contati ben 75.356 focolai, che hanno causato più di 2.000 incendi. In meno di un mese è andato distrutto irreversibilmente il 17% della superficie totale del polmone verde del nostro Pianeta. Mentre tutti i riflettori erano puntati sull’Amazzonia, in Africa si consumava un altro, ben più imponente dramma ambientale. Le immagini dei satelliti NASA contavano, nello stesso periodo, 6.000 incendi in Angola e più di 3.000 nel Congo. Il 70% degli incendi sul nostro Pianeta si stava consumando in Africa, non a caso definita “Il Continente di fuoco”! Ciò che è successo in Australia lo abbiamo visto tutti. La quasi estinzione dei Koala e di chissà quante altre specie, a causa degli incendi. Anche in Indonesia la situazione è stata disastrosa. In appena un mese e mezzo sono andati distrutti 328.000 ettari, un’estensione pari a quattro volte e mezzo Singapore. RISULTATO: dodici milioni di ettari andati in fumo in Amazzonia, 8 milioni nell’Artico, 328.000 in Indonesia, 27.000 nel Bacino del Congo, a cui aggiungere i 4 milioni di ettari della Siberia. Inoltre, l’aumento della temperatura su scala globale, il quantitativo di anidride carbonica emessa dagli incendi – più di 8 miliardi di tonnellate, a cui bisogna aggiungere i 38 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, che annualmente vengono emesse dalle attività umane – hanno provocato una catastrofe ambientale, equivalente a 4 bombe di Hiroshima al secondo. Vi è, anche, un danno collaterale: con gli incendi si alzano coltri di fumo e si producono i “black carbon”, particelle nere che si depositano sui ghiacciai dell’Artico e facilitano l’assorbimento del calore. Il bianco potere riflettente del ghiaccio (albedo) in quelle zone è fondamentale per ridurre il rischio di scioglimento. Con lo strato di black carbon, il ghiaccio si scioglie più rapidamente. Il danno ambientale è stato irreversibile ed ha lasciato scoperte vastissime zone, eliminando per sempre alcune nicchie ecologiche. Gli animali perdono il loro ambiente ed entrano e si avvicinano agli ambienti umani. Il rischio di contatto uomo-animale selvatico diventa più elevato. Vi è, inoltre, un altro dato da non sottovalutare. Il riscaldamento globale e gli incendi stanno riscaldando i terreni coperti da permafrost; suolo perennemente ghiacciato, che si insinua fino a 1.500 metri di profondità. Il 17% della superficie delle terre emerse è ricoperto da permafrost; un quarto del nostro emisfero settentrionale, presente soprattutto in Siberia. Il permafrost si è creato nelle precedenti ere glaciali e trattiene una gran quantità di materia organica, di carbonio, di microrganismi. Il suo scioglimento provoca rilascio nell’atmosfera di anidride carbonica e metano, un effetto boomerang per il cambiamento climatico, che verrebbe accelerato irreversibilmente, come in una reazione a catena. Nel permafrost, inoltre, vi sono microrganismi sconosciuti, intrappolati nel terreno ghiacciato, durante le ere precedenti. Un grammo di permafrost può contenere migliaia di differenti specie batteriche, con miliardi di cellule per ciascuna specie. I ricercatori sono convinti che lo scioglimento dei ghiacci artici potrebbe liberare antichi batteri, sconosciuti al nostro sistema immunitario, sconosciuti alla scienza, contro i quali non esistono farmaci. La scienza attuale non saprebbe come combatterli. Tra il 2014 ed il 2015 alcuni ricercatori pubblicarono dei risultati interessanti. Identificarono due virus in un pezzo di ghiaccio di 30.000 anni fa, proveniente dal permafrost siberiano. I due virus risultavano ancora infettivi. L’aumento delle temperature potrebbe liberare microrganismi, rimasti per millenni bloccati nel ghiaccio, provocando potenziali epidemie che l’uomo non saprebbe fronteggiare.



Dott.ssa Cristina Mucci
Biologo Nutrizionista

Specialista in Biologia Molecolare e Nutrizione Umana

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